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Condannato a morte

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    Autore: Kew08
    Titolo: Life is a cabaret
    Pairing: B&B
    Rating: PG-13
    Summary: I sogni son desideri…
    DISCLAIMER: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "Bones" di proprietà della FOX

    Life is a cabaret

    Non dormiva da quarantotto ore.
    Era letteralmente esausta.
    Si era gettata sul letto appena arrivata a casa, ripromettendosi di starci solo qualche minuto e poi di alzarsi per fare una doccia.
    Una promessa non mantenuta, ovviamente.
    Appena il suo corpo stanco toccò il comodo materasso capì che neanche una squadra di pompieri l’avrebbe tirata via da quel letto.
    Scalciò via le scarpe, non curandosi di togliersi i vestiti, e chiuse gli occhi, coprendosi alla bell’e meglio con le lenzuola.
    Nel momento in cui le sue palpebre si abbassarono, immagini e suoni degli ultimi avvenimenti cominciarono a scorrere nella sua mente come un film dalle scene incoerenti.
    In quello stato di semiveglia Bones non ebbe la lucidità per rendersi conto del processo di selezione avviato dal suo cervello, in una forma di inconsapevole autodifesa che le impediva di rivivere i momenti più drammatici di quelle ultime ore.
    Si abbandonò al fluire dei ricordi.
    Ecco Booth che le mostrava un foglio, respingendo la sua richiesta di avere una pistola, un’espressione oltremodo irritante su quella bella faccia da schiaffi.
    Ah, una faccia simpatica... quella di Angela.
    Simpatica? Beh, mica tanto, a pensarci bene, visto che le stava facendo capire, neanche troppo sottilmente, che la riteneva una vecchietta che non sapeva godersi la vita.
    Life is a cabaret. Come to the cabaret.
    Persino un’ignorante in tema di cultura pop qual’era lei poteva cogliere il riferimento.
    Liza Minnelli. Grande cantante. Grande attrice.
    Anni prima aveva visto quel musical. E le era anche piaciuto. Antropologicamente parlando, in effetti…
    Quel pensiero “squintoso” che aveva appena cominciato a formulare venne rapidamente e inesorabilmente sostituito da un’altra immagine. Lei e Booth nei corridoi del Jeffersonian. Lui che le chiedeva cosa avrebbe fatto nel finesettimana, lei che gli “tagliava le gambe” dicendogli che era impegnata e che faceva battute acide sulle donne con le quali il suo collega sembrava avere ottimi rapporti e che gli chiedeva se avesse un debole per le avvocatesse.
    Come una donna gelosa.
    Fece una smorfia e persino nel suo dormiveglia scacciò quel pensiero fastidioso, come si fa con le zanzare moleste.
    Ecco un ricordo più consono alla sua natura: lei che negava vibratamente ad Amy Morton che tra lei e Booth ci potesse essere qualcosa.
    Vibrazioni sessuali, aveva detto Amy.
    Bones spostò la coperta.
    Perché sentiva caldo? Non trovava Booth eccitante. Per niente. Per niente niente.
    Era forse eccitante quel sorrisino che le aveva rivolto in casa del giudice, dopo avere cordialmente minacciato un tizio un po’ troppo intraprendente?
    Per niente. Per niente niente.
    Ancora un’altra immagine. Lui che si decideva a togliersi la giacca del suo completo da 1200 dollari per aiutarla a scavare. Loro che tornavano a parlare dei finesettimana e di come vivacizzarli. Lei che tornava a stuzzicarlo alludendo alla sua affollata vita privata.
    Gelosa? Per niente. Per niente niente.
    Il sorriso di lui, al locale di Sid, appena prima di prenderla in giro in merito al suo discorso da premio Nobel. Sexy. Troppo sexy. Troppo troppo.
    Non ebbe il tempo di respingere anche quel pensiero, perché fu proprio allora che il suo strano dormiveglia scivolò in un sonno popolato di sogni.
    Dov’era? C’era una scrivania, con sopra molte carte, e libri spessi e colorati. E una grande libreria piena di testi.
    La luce del giorno filtrava dalle tende bianche.
    Sentiva caldo.
    Doveva essere quell’ampia toga nera che stava indossando, quella pazienza bianca che le stringeva un po’ il collo.
    Si girò su se stessa, in tempo per vedere la porta di quella stanza aprirsi e Booth fare capolino.
    Sexy. Troppo sexy. Troppo troppo.
    Gli rivolse un sorriso e lo osservò mentre, dopo avere richiuso la porta, le si avvicinava un po’.
    Quella toga andava assolutamente tolta, per dimostrare che lui non aveva un debole per le avvocatesse.
    Aveva un debole per lei.
    Afferrando l’orlo della toga, se la sfilò dalla testa.
    Sotto, ovviamente, portava una guêpière nera molto scollata, dalla quale partiva il reggicalze che tendeva il nylon nero che le ornava le gambe.
    Come Liza Minnelli, stava vivendo il suo cabaret.
    A vantaggio di un unico spettatore. Il più importante. Il solo spettatore che desiderava avere.
    L’uomo che la stava adorando col calore dei suoi occhi scuri.
    Peccato che nella stanza non ci fosse anche una sedia da usare per replicare la famosa coreografia di Cabaret.
    Non c’era una sedia.
    Ma c’era una scrivania.
    E c’era una poltrona.
    Un’ampia e comodissima poltrona sulla quale fece accomodare Booth, curandosi che togliesse ogni singolo capo del suo prezioso completo da 1200 dollari.
    Un istante prima di avvicinare le labbra alle sue, gli sussurrò qualcosa.
    Le prime parole da quando erano insieme in quella stanza.
    “Ai semplici piaceri, Booth”.
    Si risvegliò dopo ore di sonno profondo, al suono ripetuto del campanello e del vocione di qualcuno che, aldilà della porta, urlava: “Bones, wakey-wakey”, incitandola a svegliarsi.
    L’avrebbe ucciso, pensò senza il minimo dubbio.
    Subito dopo, il suo sogno le tornò in mente, in tutti i suoi dettagli.
    No.
    Si sarebbe uccisa. Più probabile.
    Sbuffando all’assurdità di quel pensiero aprì la porta, con riluttanza.
    “Ehi, Bones, perché mi guardi così?”, le chiese Booth, ancora sull’uscio. “Eravamo d’accordo che ti venissi a prendere, stamattina”.
    Entrando, la guardò meglio: “Ma ti sei coricata vestita?! Ehi, sei tutta rossa! Non avrai mica la febbre!”, si preoccupò, allungando una mano per tastarle la fronte.
    Lei si scansò per evitare il contatto della sua mano... che in quel momento sarebbe stato assolutamente deleterio, e rispose in tono concitato: “No, no... ho solo bisogno di una doccia”.
    Una doccia fredda. Fredda fredda.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 12:26
     
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11 replies since 22/6/2009, 08:08   579 views
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