BST Round 2: 1x07

Condannato a morte

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  1. omelette73
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    Autore: Kew08
    Titolo: Life is a cabaret
    Pairing: B&B
    Rating: PG-13
    Summary: I sogni son desideri…
    DISCLAIMER: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "Bones" di proprietà della FOX

    Life is a cabaret

    Non dormiva da quarantotto ore.
    Era letteralmente esausta.
    Si era gettata sul letto appena arrivata a casa, ripromettendosi di starci solo qualche minuto e poi di alzarsi per fare una doccia.
    Una promessa non mantenuta, ovviamente.
    Appena il suo corpo stanco toccò il comodo materasso capì che neanche una squadra di pompieri l’avrebbe tirata via da quel letto.
    Scalciò via le scarpe, non curandosi di togliersi i vestiti, e chiuse gli occhi, coprendosi alla bell’e meglio con le lenzuola.
    Nel momento in cui le sue palpebre si abbassarono, immagini e suoni degli ultimi avvenimenti cominciarono a scorrere nella sua mente come un film dalle scene incoerenti.
    In quello stato di semiveglia Bones non ebbe la lucidità per rendersi conto del processo di selezione avviato dal suo cervello, in una forma di inconsapevole autodifesa che le impediva di rivivere i momenti più drammatici di quelle ultime ore.
    Si abbandonò al fluire dei ricordi.
    Ecco Booth che le mostrava un foglio, respingendo la sua richiesta di avere una pistola, un’espressione oltremodo irritante su quella bella faccia da schiaffi.
    Ah, una faccia simpatica... quella di Angela.
    Simpatica? Beh, mica tanto, a pensarci bene, visto che le stava facendo capire, neanche troppo sottilmente, che la riteneva una vecchietta che non sapeva godersi la vita.
    Life is a cabaret. Come to the cabaret.
    Persino un’ignorante in tema di cultura pop qual’era lei poteva cogliere il riferimento.
    Liza Minnelli. Grande cantante. Grande attrice.
    Anni prima aveva visto quel musical. E le era anche piaciuto. Antropologicamente parlando, in effetti…
    Quel pensiero “squintoso” che aveva appena cominciato a formulare venne rapidamente e inesorabilmente sostituito da un’altra immagine. Lei e Booth nei corridoi del Jeffersonian. Lui che le chiedeva cosa avrebbe fatto nel finesettimana, lei che gli “tagliava le gambe” dicendogli che era impegnata e che faceva battute acide sulle donne con le quali il suo collega sembrava avere ottimi rapporti e che gli chiedeva se avesse un debole per le avvocatesse.
    Come una donna gelosa.
    Fece una smorfia e persino nel suo dormiveglia scacciò quel pensiero fastidioso, come si fa con le zanzare moleste.
    Ecco un ricordo più consono alla sua natura: lei che negava vibratamente ad Amy Morton che tra lei e Booth ci potesse essere qualcosa.
    Vibrazioni sessuali, aveva detto Amy.
    Bones spostò la coperta.
    Perché sentiva caldo? Non trovava Booth eccitante. Per niente. Per niente niente.
    Era forse eccitante quel sorrisino che le aveva rivolto in casa del giudice, dopo avere cordialmente minacciato un tizio un po’ troppo intraprendente?
    Per niente. Per niente niente.
    Ancora un’altra immagine. Lui che si decideva a togliersi la giacca del suo completo da 1200 dollari per aiutarla a scavare. Loro che tornavano a parlare dei finesettimana e di come vivacizzarli. Lei che tornava a stuzzicarlo alludendo alla sua affollata vita privata.
    Gelosa? Per niente. Per niente niente.
    Il sorriso di lui, al locale di Sid, appena prima di prenderla in giro in merito al suo discorso da premio Nobel. Sexy. Troppo sexy. Troppo troppo.
    Non ebbe il tempo di respingere anche quel pensiero, perché fu proprio allora che il suo strano dormiveglia scivolò in un sonno popolato di sogni.
    Dov’era? C’era una scrivania, con sopra molte carte, e libri spessi e colorati. E una grande libreria piena di testi.
    La luce del giorno filtrava dalle tende bianche.
    Sentiva caldo.
    Doveva essere quell’ampia toga nera che stava indossando, quella pazienza bianca che le stringeva un po’ il collo.
    Si girò su se stessa, in tempo per vedere la porta di quella stanza aprirsi e Booth fare capolino.
    Sexy. Troppo sexy. Troppo troppo.
    Gli rivolse un sorriso e lo osservò mentre, dopo avere richiuso la porta, le si avvicinava un po’.
    Quella toga andava assolutamente tolta, per dimostrare che lui non aveva un debole per le avvocatesse.
    Aveva un debole per lei.
    Afferrando l’orlo della toga, se la sfilò dalla testa.
    Sotto, ovviamente, portava una guêpière nera molto scollata, dalla quale partiva il reggicalze che tendeva il nylon nero che le ornava le gambe.
    Come Liza Minnelli, stava vivendo il suo cabaret.
    A vantaggio di un unico spettatore. Il più importante. Il solo spettatore che desiderava avere.
    L’uomo che la stava adorando col calore dei suoi occhi scuri.
    Peccato che nella stanza non ci fosse anche una sedia da usare per replicare la famosa coreografia di Cabaret.
    Non c’era una sedia.
    Ma c’era una scrivania.
    E c’era una poltrona.
    Un’ampia e comodissima poltrona sulla quale fece accomodare Booth, curandosi che togliesse ogni singolo capo del suo prezioso completo da 1200 dollari.
    Un istante prima di avvicinare le labbra alle sue, gli sussurrò qualcosa.
    Le prime parole da quando erano insieme in quella stanza.
    “Ai semplici piaceri, Booth”.
    Si risvegliò dopo ore di sonno profondo, al suono ripetuto del campanello e del vocione di qualcuno che, aldilà della porta, urlava: “Bones, wakey-wakey”, incitandola a svegliarsi.
    L’avrebbe ucciso, pensò senza il minimo dubbio.
    Subito dopo, il suo sogno le tornò in mente, in tutti i suoi dettagli.
    No.
    Si sarebbe uccisa. Più probabile.
    Sbuffando all’assurdità di quel pensiero aprì la porta, con riluttanza.
    “Ehi, Bones, perché mi guardi così?”, le chiese Booth, ancora sull’uscio. “Eravamo d’accordo che ti venissi a prendere, stamattina”.
    Entrando, la guardò meglio: “Ma ti sei coricata vestita?! Ehi, sei tutta rossa! Non avrai mica la febbre!”, si preoccupò, allungando una mano per tastarle la fronte.
    Lei si scansò per evitare il contatto della sua mano... che in quel momento sarebbe stato assolutamente deleterio, e rispose in tono concitato: “No, no... ho solo bisogno di una doccia”.
    Una doccia fredda. Fredda fredda.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 12:26
     
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  2. Cris.Tag
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    Autore: Anna86
    Titolo: SENZA SPERANZA
    Pairing: Amy Morton…implied B&B
    Rating: per tutti
    Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "Bones" di proprietà della FOX.

    Amy Morton era seduta sul divano del suo appartamento, i piedi nudi appoggiati sul tavolino di vetro e un bicchiere di vino rosso in mano. Pensava agli avvenimenti di quegli ultimi giorni; stava malissimo per aver preso l’abbaglio del secolo, ovvero aver creduto nell’innocenza di Howard Epps. Pensava anche a quei giorni trascorsi in compagnia dell’agente Booth e della Dottoressa Brennan.
    Quando aveva saputo di dover lavorare nuovamente con lui aveva sperato per un attimo le venisse concessa nuovamente quell’occasione che si era lasciata scappare la volta precedente, ma una segretaria pettegola l’aveva informata, peraltro senza nemmeno che lei lo chiedesse, che il bell’agente al momento era impegnato in una relazione con un’altra avvocatessa di nome Tessa. Amy aveva fatto buon viso a cattivo gioco e si era limitata a sorridere, aspettando che l’agente in questione la chiamasse nel suo ufficio.
    Poi però era successa una cosa; Booth infatti si era presentato accompagnato dalla Dottoressa Temperance Brennan. Amy la conosceva di fama, era un’importantissima antropologa forense nonché scrittrice di successo e anche se lei non aveva mai letto i suoi libri sapeva che erano schizzati dritti in cima alle classifiche.
    La cosa di per sé non era strana, infatti capitava che l’FBI si avvalesse di aiuti esterni, costituiti soprattutto da scienziati ed esperti, per risolvere le indagini più complicate, ma lei non si aspettava che la scienziata in questione fosse così…attraente? Quando aveva saputo che lei e Booth lavoravano insieme e che avrebbe dovuto incontrarla aveva immaginato una scienziata occhialuta e decisamente più bruttina, che naturalmente pendeva dalle labbra di Booth, non sicuramente l’amazzone dagli occhi blu e dal piglio deciso che si era trovata davanti.
    La cosa interessante era stato soprattutto il linguaggio del corpo dei due partner, che non avevano smesso un secondo di bisticciare nonostante la sua presenza e invadevano costantemente l’uno lo spazio personale dell’altro senza curarsene minimamente. Si potevano vedere le scintille tra quei due. Sarebbe bastato un nonnulla per scatenare l’inferno.
    Amy si sentiva quasi un terzo incomodo davanti a quelle discussioni.

    Se fossi nella famigerata Tessa, questa situazione non mi piacerebbe nemmeno un po’. Pensò Amy tra sé e sé.

    Quando discutevano tra loro, Booth e Brennan sembravano catapultati in un mondo a parte, un mondo nel quale esistevano solo loro e tutto il resto rivestiva scarsa importanza. Anche se la loro partnership era effettiva da poco, i due lavoravano in simbiosi, come un’unità compatta ed efficiente. Non c’erano un superiore e un sottoposto, erano sullo stesso piano. Ogni decisione veniva presa in tandem, nessuno dei due agiva da solo. L’antropologa si era rivelata molto preziosa per le indagini e aveva fornito le prove schiaccianti della colpevolezza di Epps e Booth come al solito non aveva lasciato nulla al caso, seguendo ogni pista possibile.

    C’era un legame speciale tra quei due, Amy l’aveva capito subito. Una connessione che andava ben al di là della semplice attrazione fisica, qualcosa di molto più profondo e significativo. Si capiva dal modo in cui si guardavano, dal modo in cui si parlavano, dal modo in cui si comportavano.
    Per questo motivo non si risentì troppo del fatto che non le si fosse presentata una seconda occasione.
    Per questo motivo non si sorprese per nulla qualche settimana dopo, quando venne a sapere da una collega avvocatessa che Booth e Tessa avevano rotto.
    Per questo motivo si trovò a pensare che, anche se Booth aveva avuto in passato un debole per le avvocatesse come aveva detto la Dottoressa Brennan, quella particolare categoria d’ora in poi non avrebbe più ricoperto particolare interesse per l’agente.
    Erano senza speranza.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 19:58
     
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  3. omelette73
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    Autore: Chemistry
    Titolo: La giusta pena
    Pairing: Booth.. con un pizzico di B&B.
    Rating: per tutti
    Summary: ‘Non sono come lei. Lei è un cecchino.’
    Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "Bones" di proprietà della FOX.

    LA GIUSTA PENA

    Non sono come lei. Lei è un cecchino.”

    Era già pronto ad appendere la cornetta. Le parole di Epps lo avevano provocato.
    Non lo considerava innocente, aveva seguito il caso, il processo, le prove... il suo istinto. Di quello si fidava. Gli bastava guardare quel bastardo negli occhi per capire che c’era l’inferno nella sua mente, ma quando udì il terrore nella sua voce nel descrivere la sua, ormai prossima, esecuzione si bloccò. Qualcosa scattò in Booth. Stava recitando la parte dell’innocente? Sicuramente sì. Stava recitando la paura di morire? Sicuramente no.

    L’insinuazione del dubbio del suo avvocato e quelle ultime parole avevano spinto i tasti giusti dentro di lui.
    Voleva davvero che quell’uomo morisse senza aver chiarito ogni incerta lacuna.

    La sua vita era nelle sue mani, come lo erano state le vite delle persone che aveva giustiziato nel suo passato. Lo aveva fatto per la sua Nazione, per inseguire la giustizia e per quello che pareva essere giusto.
    Ma era davvero equo riservare la morte a degli assassini per rendere giustizia?
    Le vittime di quegli assassini avrebbero riposato davvero in pace dopo che gli individui che gli avevano tolto loro la vita fossero finiti sotto terra?
    Cosa era giusto? Cosa era sbagliato?

    Lui credeva nella giustizia, credeva nel suo paese, credeva nel senso del dovere e nel suo lavoro ma, sopra ogni cosa, credeva fermamente nel valore di una vita.
    Aveva visto occhi spegnersi, mogli accasciarsi a terra urlando e piangendo, figli restare ipnotizzati di fronte a terribili scenari. E, ogni volta, dentro di lui una piccola parte moriva insieme a quelle famiglie.

    Riaprire questo caso, riviverlo e rivalutarlo era come affondare un pugnale in ferite che ancora sanguinavano. Scavava a fondo e il dolore era lancinante.

    Si era ripromesso, dopo il suo periodo da cecchino, che avrebbe riconsegnato alla giustizia altrettanti assassini per quante vite aveva preso lui. Lo aveva confessato a Bones. Solo a Bones.

    Ora si ritrovava a dover capire se uno di quegli assassini meritasse davvero la sua sorte già scritta e firmata. Doveva fare fede alla promessa fatta a se stesso e quello era il caso in cui doveva mettere da parte ogni sua convinzione per lasciare spazio ai dubbi.
    Non poteva permettersi che un eventuale innocente scontasse quella pena ingiustamente, non voleva aggiungere un’altra ferita dentro di sé nella quale spingere quel pugnale.

    Nonostante il suo istinto gli urlasse a chiare lettere che aveva ragione, che Epps era colpevole, doveva fare luce sulle mancanze del caso.

    Bones gli aveva chiesto se aiutarlo a scoprire una prova per fermare l’esecuzione fosse un favore personale. Lo era, di sicuro. Se avesse scoperto di essersi sbagliato troppo tardi avrebbe faticato ancora di più a guardarsi dentro. Un altro fantasma a tormentare i suoi incubi, già affollati, era troppo.

    Lei e gli squints si erano subito resi disponibili e messi al lavoro, con professionalità per non sbagliare nulla, con accuratezza per non tralasciare nessun dettaglio. Lui li osservava ammirato e cercava di capire in mezzo a quei paroloni se ci potesse essere qualcosa d’aiuto.

    Le pressioni esterne non lo favorivano in quella situazione già così difficile. La famiglia della vittima sopra tutte.

    “Epps ha ucciso mia figlia. Lei ne è convinto agente Booth?”
    “Sì Signora. E non ho mai cambiato idea.”
    “E merita di morire per quello che ha fatto.”


    Il peso di dover dire, guardando negli occhi quella madre che pensava finalmente di rendere giustizia alla figlia, che avevano iniziato ad indagare su nuove prove era difficile, ma lo sarebbe stato di più dire che avrebbero dovuto riesumare le spoglie per verificare quei nuovi elementi.

    Credeva che avrebbe risolto tutto in poco tempo ma quel caso si stava rivelando più intricato di quanto pensasse. Però doveva proseguire, a rischio di essere sospeso da Cullen per aver indagato ufficiosamente su un caso chiuso sette anni prima.

    Anche gli occhi di Bones lo scrutavano e gli chiedevano cosa stesse provando e pensando. Era come se nessuno lo riconoscesse e forse non si riconosceva nemmeno lui.

    “Non avrai davvero cambiato idea.”
    “No. Non credo che Epps debba essere giustiziato... ma...”


    Cosa era giusto? Cosa era sbagliato?
    Aveva un dubbio e in certi casi di dubbi non ce ne dovevano essere. Era quello che aveva detto al giudice, che chiaramente aveva fatto capire che tutti gli argomenti portati alla sua attenzione non erano sufficienti per fermare l’esecuzione.

    “Lo sentiamo tutti il peso di una condanna capitale, ma la legge è chiara. A meno che non emerga una prova di grande inadempienza o una chiara negazione di quanto rivelato e messo agli atti o nuovi fatti rilevanti e comprovati io ho le mani legate.”

    Tutto quel che avevano scoperto non era sufficiente, ancora dubbi e incertezze. C’era ancora solo il caso che non fosse colpevole. Stava quasi decidendo di lasciar perdere tutto ma, incitato dalla decisione di Bones di continuare a cercare, continuò anche lui in quella missione.

    Mancavano ormai poche ore all’esecuzione e quando finalmente trovarono le prove per fermare la pena capitale comprese che non si era sbagliato, né sette anni prima né ora.

    Epps era colpevole.
    Della morte della povera April e di altre donne. Un serial killer in piena regola che provava gusto nel rubare l’esistenza a delle povere e giovani ragazze. Meritava di trovarsi dov’era ma alla luce di quella nuova scoperta un’altra difficile decisione gli ricadde addosso.

    Se non avesse chiamato in tempo avrebbe evitato la revoca del giudice ed Epps avrebbe avuto quello che la giustizia aveva deciso che meritasse.
    Cosa era giusto? Cosa era sbagliato?

    Il desiderio di lasciar scorrere quell’ultima mezz’ora senza digitare il numero di telefono era enorme. Li aveva presi tutti in giro, ma questo era niente in confronto alle atrocità che aveva riservato alle sue vittime.

    “Queste donne meritano di essere ascoltate. È il nostro lavoro Booth, il resto...”
    “Sta agli avvocati.”


    E ancora una volta lei gli ricordò la motivazione giusta. Quella che gli aveva sempre fatto prendere le decisioni della sua vita, per quanto potessero essere giuste o sbagliate. Il suo senso del dovere. Il suo lavoro.

    Fissando la sua partner digitò quel numero.

    Rivedere quel bastardo e sentirlo ringraziare per avergli permesso di continuare a vivere gli scatenava un moto d’ira dentro. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma sapeva che doveva evitarlo. La sua situazione con Cullen era già abbastanza compromessa per colpa di quel verme.
    Tuttavia, lo sguardo che quel pazzo riservava alla sua partner lo turbava. Non voleva che la guardasse in nessun modo, ma soprattutto con quella brama e quando vide che la sua mano si allungava sul tavolo per toccare quella di lei non esitò un attimo a raggiungere la pistola nella sua fondina.
    Gli avrebbe sparato se lei non avesse agito prima, rompendogli il polso.

    Durante quel week-end non c’era stato assolutamente niente di rilassante o divertente. Anzi, era stato estenuante e aveva lasciato un senso di vuoto ad entrambi. Sui loro volti non sembrava esserci traccia di un sorriso all’orizzonte e neppure le battute di Sid sembravano risollevarli.

    “Era colpevole, è sempre stato colpevole.”
    “Solo che c’era un dubbio e noi siamo tutti obbligati a rispettare quei dubbi. La morte di un essere umano riguarda sempre tutti.”
    “Molto poetico.”
    “No. Molto reale. Abbiamo lo stesso DNA. Quando io guardo un osso non è mai un elemento qualunque che posso scindere da me stessa, fa parte di una persona che era qui, come ci sono io ora. Non è così semplice sottrarre la vita a qualcuno. Non importa a chi appartenga.”


    No. Non era semplice sottrarre la vita a qualcuno e lui lo sapeva bene. Lottare per togliersi quei dubbi era stata la scelta giusta, avevano trovato altri due corpi che probabilmente presto avrebbero avuto un nome ed una foto accanto e una famiglia che, nonostante il lutto, avrebbe smesso di cercare.

    Bones aveva ragione e quando disse quelle parole sul suo volto apparve finalmente un sorriso dopo tante ore di amarezza. Lei lo aveva aiutato, come nessuno avrebbe fatto mai. Lei gli aveva fatto capire più di una volta in quei due giorni quali decisioni spettassero a loro e quali ad altri, cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato.
    Con quel sorriso la ringraziò. Per essere lei, la sua partner.

    Iniziarono a mangiare le pietanze che Sid aveva scelto per loro e, dopo un breve silenzio, Booth si voltò verso di lei e domandò “E tu Bones?”

    “Io cosa?” chiese lei guardandolo confusa.

    “Cosa fai tu nei fine settimana?” disse sorridendole, sentendo che la tensione di quei giorni iniziava lentamente a defluire.

    Lei esitò un momento prima di rispondere “Beh, io... di solito leggo o... mi occupo di qualche caso del limbo...”

    “No, Bones. È sbagliato. Nei fine settimana dovresti divertirti, staccare la spina dal tuo lavoro, svagarti.” replicò lui.

    “E chi dice che è sbagliato? Ogni individuo ha una personale concezione di cosa è rilassante e cosa invece no. Per me fare quelle cose è rilassante e appagante.” si giustificò lei.

    “Certo, ma credo tu abbia bisogno di qualche altra attività per capire se quello che fai è davvero rilassante. Sai, per avere un termine di paragone.” azzardò lui. “Facciamo così, il prossimo fine settimana faremo qualcosa insieme e poi mi dirai.”

    Lei lo guardò scettica per un momento. Non sapeva cosa aspettarsi, ma le sfide la esaltavano e la facevano sentire viva, quindi accettò. Il fine settimana successivo sarebbe stata pronta a capire se c’era qualcosa che si stava perdendo ed era certa che sarebbe stato più piacevole di quello appena trascorso.
    Si guardarono per un lungo istante sorridendo e tornarono ai loro piatti.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 20:42
     
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  4. Cris.Tag
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    Autore: Tangled
    Titolo: L’avvocato delle cause perse
    Pairings: Nessuno
    Rating: Per tutti

    Significant sentence: Era un ambiente difficile, in cui tutti avevano uno scopo e lo perseguivano con ogni mezzo: la verità era solo una delle possibili interpretazioni della realtà dei fatti e delle prove.

    Note: Amy Morton

    Ci sono giornate in cui ti svegli e sai che qualcosa andrà storto. Lo senti.
    Volte in cui l’unica cosa da fare sarebbe rintanarsi sotto le coperte e tornare a dormire, ma, nonostante ciò, ti costringi ad alzarti. E non succede quasi mai che si tratti di un falso allarme.
    Altre volte, invece, ti desti e ti sembra di avere il mondo in pugno, sei convinto che tutto andrà bene e che nessuno potrà fermarti.
    Di solito è proprio in quei momenti che la vita colpisce più duro.
    Succede all’improvviso, come se il destino volesse ricordarti che non devi mai abbassare la guardia o potresti pentirtene.
    Quell’ultima giornata rientrava decisamente nell’ultima categoria. Anzi, a pensarci bene, vi si poteva inserire l’intero weekend.

    Era iniziato tutto sotto i migliori auspici.
    Non solo era riuscita ad entrare all’FBI, questo grazie alla lunghezza della sua gonna, ma era persino riuscita a convincere Booth a riesaminare il caso.
    Non era stato difficile, se doveva essere onesta: era bastato fare leva sul suo senso di giustizia. Certo, se non fosse stato per la dottoressa Brennan...
    Accidenti quella donna era davvero straordinaria! E indubbiamente grandiosa nel suo lavoro. D'altronde in caso contrario non avrebbe lavorato con Booth.
    Giravano parecchie voci nel loro ambiente su quella strana coppia: erano partner da pochi mesi eppure tutti li conoscevano.
    La loro notorietà era certamente dovuta al fatto che era la prima volta in cui una civile veniva affiancata ad un agente per tutte le fasi di un indagine per omicidio. A ciò si doveva poi aggiungere che lei era una scrittrice famosa.
    La verità, però, era che chiunque gli avesse incontrati si era posto una domanda ben precisa.
    Quanto ci sarebbe voluto prima che finissero a letto insieme?
    Nessun se, solo l’incertezza del quando?.
    Lei se ne era accorta subito, dal momento in cui erano entrati nell’ufficio in cui li stava aspettando, discutendo di qualcosa che aveva a che fare con una pistola. Aveva persino cercato di estorcere alla donna una confessione, l’aveva stuzzicata lasciando intendere che lei stessa aveva avuto la possibilità per un qualcosa con Booth, ma di aver perso l’occasione.
    In realtà si era trattato più di un momento in cui aveva sentito che se l’avesse baciato lui non si sarebbe tirato indietro, ma era accaduto alcuni anni prima. Nulla di serio.
    Questo però aveva evitato di dirlo per non rovinare l’effetto della sua dichiarazione.
    Effetto che non si era fatto attendere e che si era manifestato in un lampo di irritazione che aveva attraversato il verdazzurro degli occhi della scienziata.
    Non sapeva per quale motivo avesse sentito l’impulso di provocarla, forse perché aveva creduto che Temperance stesse coscientemente mentendo quando aveva affermato che tra lei e il suo collega non c’era nulla.
    Si era sbagliata. La dottoressa era assolutamente convinta di ciò che diceva, per quanto assurdo ciò potesse sembrare.
    Durante quelle ore frenetiche si era resa conto che era una persona cristallina: era schietta fino ai limiti della maleducazione. E lei non aveva ancora deciso se la cosa le piacesse o la infastidisse.
    Nel suo mondo era difficile trovare una come lei, se non addirittura impossibile.
    Aveva imparato presto che le parole erano un’arma pericolosa: con un pizzico di fortuna ed una buona capacità oratoria si poteva far condannare un innocente o far assolvere un colpevole.
    Era un ambiente difficile, in cui tutti avevano uno scopo e lo perseguivano con ogni mezzo: la verità era solo una delle possibili interpretazioni della realtà dei fatti e delle prove.
    Non le piaceva quell’aspetto del suo lavoro e forse proprio per quel motivo si era imbarcata nell’impresa di dimostrare l’innocenza di Epps in modo da evitargli la pena capitale.
    Aveva commesso un errore di valutazione.
    L’aveva guardato negli occhi e si era convita della sua sincerità. Così, per aiutarlo, aveva mosso mari e monti, nonché fatto riesumare un cadavere e svegliato per due volte nel giro di poche ore un giudice che, da quel momento in poi, le avrebbe sicuramente reso la vita un inferno.
    Quell’inchiesta aveva presentato numerosi punti oscuri fin dall’inizio, ma nulla avrebbe potuto prepararla a quello che sarebbe emerso una volta chiariti quegli stessi interrogativi.
    Howard Epps non era un assassino. Era un serial killer.
    Vedeva ancora di fronte a sé gli occhi di quel mostro nel preciso momento in cui si era tolto la maschera. L’atteggiamento sottomesso aveva lasciato spazio alle parole di un freddo calcolatore che li aveva manovrati al fine di procurarsi la sospensione della pena capitale.
    Anche se odiava ammetterlo perché andava contro ogni suo principio in quel preciso istante poteva capire l’affermazione che la dottoressa Brennan aveva fatto durante uno dei loro spostamenti in macchina.
    Ci sono persone che non dovrebbero esistere. Come quelli che hanno ammazzato centinaia di bambini in Ruanda decapitandoli sui banchi di scuola. Persone che fanno cose del genere dovrebbero essere giustiziate.
    Si sentiva sporca.
    Aveva parlato con quel mostro, l’aveva consolato. Mio Dio, l’aveva persino toccato.
    Il solo pensiero in quel momento le diede la nausea.
    Quell’uomo aveva sfruttato il suo idealismo per i propri fini e lei si era comportata come una sciocca, ma non gli avrebbe permesso di distruggere ciò in cui credeva.
    Le venne in mente quello che gli aveva detto un suo professore dell’università dopo una discussione.
    Deve crescere, signorina Morton. Se vuole fare l’avvocato la prima cosa che deve imparare e che spesso bisogna scendere a patti con il fatto che l’imputato sia colpevole. Se non è capace di farlo allora è meglio che si scelga un altro lavoro.
    All’epoca lei l’aveva mandato mentalmente a quel paese, ma ora capiva che cosa intendeva.
    In quel preciso momento si rendeva conto di non sapere se era abbastanza forte per scendere a compromessi con la sua coscienza.
    Una lacrima le solcò la guancia mentre bussava alla porta. Sapeva che era dannatamente tardi, ma non aveva potuto farne a meno: mentre vagava senza una meta per le strade di Washington nel disperato tentativo di scacciarsi di dosso quella sensazione di abbattimento, era finita lì.
    Dopo qualche minuto la porta si aprì e lei si gettò tra le braccia di suo padre, affiancato subito dopo da sua madre: aveva ventisei anni eppure eccola lì a piangere tra le braccia dei suoi genitori.
    Le sembrava di essere tornata bambina quando, ogni notte, costringeva il padre a controllare sotto il letto per assicurasi che non ci fosse nessun mostro in agguato, pronto ad attaccarla non appena avesse spento la luce.
    Piangeva senza riuscire a fermarsi, in silenzio, sulla soglia di casa.
    Piangeva per la stanchezza.
    Piangeva per la rabbia.
    Piangeva per la delusione.
    Piangeva per quelle tre ragazze assassinate.
    Ma piangeva anche per se stessa, ma soprattutto piangeva per l’innocenza che Epps le aveva rubato.
    E lo odiava per averle dimostrato che i mostri esistevano davvero.
    Sua madre e suo padre non le chiesero nulla, si limitarono a stringerla fino a quando le sue lacrime si esaurirono e poi la accompagnarono nella sua vecchia camera.
    Per quanto potesse essere sciocco o inutile per quella sera voleva tornare ad essere la bambina ingenua che era stata.
    Ci sarebbe stato il giorno successivo per le spiegazioni e le decisioni.
    Così chiuse gli occhi e si addormentò.

    Ci sono giornate che ti rubano la voglia di vivere.
    Altre in cui conti i secondi che ti separano al calare del buio.
    E altre ancora che ti cambiano la vita.
    Il coraggio sta nell’alzarsi il mattino successivo e affrontare un’altra giornata pur sapendo tutto questo.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 20:43
     
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  5. omelette73
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    + Autore: Sweet_Violet/Sara
    + Titolo: Searching for the truth
    + Pairing: B&B
    + Rating: PG-13 per sicurezza
    + Summary: Temperance Brennan è una di quelle persone che vogliono scoprire la verità, che si basano solo su dati fondati e concreti. Ma per lei non è solo una ricerca scientifica: la verità riguarda la giustizia, per lei sono un binomio inscindibile.
    + Disclaimer: Bones non mi appartiene

    Gli esseri umani, dalla notte dei tempi, sono sempre andati alla ricerca della verità.

    Studiosi, filosofi, letterati, hanno un unico scopo: scoprire come funziona il mondo.

    E tutt’oggi la ricerca continua, perché siamo ancora circondati da misteri.

    Temperance Brennan è una di quelle persone che vogliono scoprire la verità, che si basano solo su dati fondati e concreti. Ma per lei non è solo una ricerca scientifica: la verità riguarda la giustizia, per lei sono un binomio inscindibile.

    Dare un volto, un’identità a chi non l’ha più, trovare il colpevole e fare in modo che giustizia sia fatta. Questa è la priorità nel suo lavoro: non ci sono solo le ossa.

    Quando ricostruisce un volto o porta alla luce un corpo, vede tutto ciò che quella persona era e che sarebbe potuta diventare.

    Proprio come per il caso appena chiuso, quello di April Wright. Una diciassettenne con tanti sogni nel cassetto, costretta a tenerli chiusi per sempre, confinati nella sua bara due metri sotto terra, con le speranze vanificate dei suoi genitori. Quale dolore poteva essere paragonato alla morte del proprio figlio?

    Nessuno.

    Rispose mentalmente Temperance mentre sorseggiava un bicchiere di vino in compagnia di Booth, entrambi demoralizzati per come erano stati raggirati da Epps. E mentre si scrutavano da sopra i loro bicchieri, a Temperance venne in mente che se Booth non avesse ascoltato quell’avvocatessa dagli occhi di ghiaccio, Epps sarebbe morto. Avrebbe pagato per i delitti commessi. Ma così non avrebbero scoperto le altre vittime.

    Altri corpi tenuti nascosti per tanto, troppo tempo.

    Famiglie distrutte in attesa di notizie che non arrivavano mai.

    A lei toccava scoprire l’identità di quelle ragazze sfortunate, la cui vita era stata spezzata troppo presto. Il suo compito era quello di dare delle risposte a quelle famiglie, anche se non erano quelle che volevano. Dopo tanto tempo non vuoi arrenderti all’idea che la persona che ami non c’è più, ma aspetti solo che qualcuno che te lo confermi. Cerchi risposte per attenuare il dolore. Ma la sofferenza non si allevia, cresce fino a levarti il respiro.

    I genitori di April non si davano pace per aver perso la figlia, per non essere stati con lei a difenderla. Per non averle detto addio.

    Temperance sapeva bene cosa significava cercare delle risposte. Amava la verità, era pragmatica, meticolosa, all’apparenza fredda ed insensibile. Ma viveva con il dolore della perdita dei genitori ogni giorno, senza sapere cosa fosse successo loro. Aveva smesso di cercare. Non si faceva illusioni, non si nutriva di false speranze. Preferiva fare qualcosa per gli altri.

    Già, proprio così.

    La donna fredda ed egoista aveva un cuore e dei sentimenti, spesso feriti, ma li aveva.

    “Booth dice che sei una maniaca della verità.”

    Così le aveva detto l’avvocatessa Amy. Temperance aveva replicato che non era una maniaca. Cosa c’era di male nel sapere come erano andate le cose? In fin dei conti non le interessava salvare il suo cliente?

    “Avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.”

    Pensò tra sé e sé mentre assaporava gli involtini che gli aveva portato Syd poco prima. Deliziosi. Come sempre. Si voltò verso il suo silenzioso partner e l’osservò mentre mangiava. Anche lui credeva nella verità e nella giustizia, persino in quella divina mentre lei credeva solo nella logica e nella razionalità.
    Aveva avuto dei dubbi sulla colpevolezza di Epps. Aveva deciso di togliersi ogni incertezza perché non gli piaceva l’idea di averlo sulla coscienza, in caso si fosse scoperto fosse innocente.

    Beh, stasera era sicura che Booth non avrebbe chiuso occhio: i sensi di colpa per l’annullamento dell’esecuzione lo avrebbero tenuto sveglio. Le indagini sarebbero state lunghe, il processo anche e poi c’era l’appello…

    Sì, Epps aveva ragione: sarebbero passati molti anni, prima che venisse fissata una nuova data.

    “Almeno è già in carcere: una magra consolazione.”

    Finito di mangiare Booth pagò a Syd la fantastica cena e accompagnò Temperance fuori dal locale. Mentre si avviavano silenziosamente verso l’auto lei sospirò, distogliendo l’agente dai propri pensieri.

    -Qualcosa non va, Bones.

    Non era una domanda, ma una constatazione. Tutto in quel giorno e mezzo non era andato per il verso giusto.

    -Già. Sai da una parte vorrei poter andare indietro nel tempo e non darti retta quando mi hai chiesto di esaminare il caso di Epps; dall’altro sono contenta che le cose siano andate in questa direzione.

    -Potevi impedirmi di fare quella telefonata. A quest’ora i nostri problemi sarebbero finiti.

    -Non era giusto, lo sai. Anche se quell’uomo è un animale abominevole, merita di essere giudicato civilmente. Se non ti avessi esortato a fare quella telefonata per fermare l’esecuzione, a quest’ora gli animali saremmo noi. Non saremmo stati migliori di Epps.

    Booth ci riflettè un attimo, poi annuì. Rimasero un altro po’ in silenzio, poi Brennan aggiunse

    -Anche se passa tanto tempo, la verità viene sempre a galla, sta a noi raccoglierla ed elaborarla.

    Booth le rispose con un sorriso –Certo Bones. E noi siamo i migliori in questo campo, vero?

    -Vero.

    Siamo fautori di tutto ciò che ci circonda: possiamo anche nascondere tutti i nostri peccati, le nostre bugie ed i nostri errori, ma si deve tener conto delle conseguenze. Prima o poi la verità viene scoperta, ed allora non potrai più negare e nemmeno nasconderti. Tutto riaffiora, proprio come i corpi di quelle ragazze, riportate alla luce dalle pale di Booth e Bones.

    Edited by omelette73 - 30/6/2009, 20:43
     
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  6. Anna86
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    Che belline anche stavolta le oneshots...sarà difficile votare!
     
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  7. martina047
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    Sono tutte belleeeee... :clap: :clap:
     
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  8. omelette73
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    Davvero brave ragazze. Anche questa volta sarà difficile votare!
     
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  9. FrancyBB
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    bellissime! tutte quante!!! complimenti davvero!!!
     
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  10. elo_93
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    Sono tutte troppo belle...Sì, sarà un'ardua scelta votarne solo una...
    Bravissime a tutte le scrittrici!
     
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  11. mary1983
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    Belle anche queste storie!!!!!!!!!!!!!
    anche stavolta sarà veramente dura decidere!!!!!!!!
     
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  12. lotus in dream1927
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    Ma voi volete mettermi in crisi?!?!?
    Ma dico io, come si fa a votare una oneshot sola???

    Bravissime tutte.
     
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11 replies since 22/6/2009, 08:08   579 views
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