BST Round 7: 1x22

Il volto dell’assassino

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    Autore: una_carrie
    Titolo: Riconoscersi per differenza
    Pairing: B&B
    Rating: Per tutti
    Summary: Temperance davanti la tomba di sua madre, alcuni anni dopo il suo ritrovamento
    Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, sono di proprietà della FOX.



    Riconoscersi per differenza.

    Sono qui davanti la tomba di mia madre, Christine Brennan.
    Ho portato dei fiori cosi come mi hanno insegnato Angela e Booth.
    Sto guardando la sua foto, un po’ scolorita dal sole, passo con lo sguardo i suoi giovani lineamenti, accompagno le linee del suo sorriso creandone uno anche sul mio volto, come uno specchio.
    Chissà se qualcuno potrebbe cogliere delle somiglianze tra noi? La struttura ossea è simile, anche se i lineamenti del viso non sono cosi accostabili. Ok, Booth mi dice sempre di non distrarmi quando sono qui, ma di parlare a mia madre, raccontarle qualcosa, comunicarle un mio stato d’animo.
    Ci sto provando. Anno dopo anno, qualcosa, in effetti, è cambiato nel mio modo di stare qui, davanti la sua lapide. E cosi dopo qualche minuto, in cui ho bisogno di concentrarmi, ripenso a quelle volte in cui, la sera, entrava in camera e mi chiedeva come era andata la giornata. Mi aiuta. A pensarci ora, era dopo quei momenti che lei e mio padre uscivano per andare a fare le loro rapine.
    Come una nemesi diventavi Ruth Keenan, un’altra persona, una che non conosco. E quando ti ho conosciuta, trovandomi davanti le tue ossa, non so cosa sarebbe stato di me se non avessi avuto accanto Angela, Zack, Jack, Goodman e ovviamente Booth.
    Dopo tutti questi anni mi sento più forte, se mi fossi imbattuta ora nel tuo ritrovamento penso che sarei riuscita a pormi diversamente. A quei tempi Temperance Brennan conosceva solo alcuni aspetti di sé e della vita. Altri erano sotterrati dentro di me, di altri ancora non ne avevo mai avuto esperienza. E se non avessi avuto Booth…come posso definirlo in quella circostanza? Una specie di mio prolungamento che apriva le porte davanti a me, in modo da proteggermi dalle correnti d’aria. Lo so, non è molto scientifico, ma sono pur sempre anche una scrittrice, no? Quel giorno, senza neanche avermi ancora visto, ha annullato tutti i miei impegni in tribunale. Con uno sguardo eloquente mi ha spinto a tornare a casa, perché sapeva che avevo bisogno di tranquillità per capire cosa stava succedendo, dentro e fuori di me. Mi ha portato la cena per non so quante volte, perché mi sostenessi, ma soprattutto perché non stessi sola, sebbene neanche io ne cogliessi l’effettivo bisogno. Ma mi aveva fatto piacere, eccome. Mi ha abbracciato. In quel momento in cui non capivo neanche dove mi trovassi. Sentivo solo il sangue pulsare forte nella mia testa e tutto intorno a me sembrava diventato bianco e anche io mi confondevo in quel nulla, perché ero nulla, un nessuno, travestito da qualcuno. Solo in quell’abbraccio ho sentito di avere recuperato le mie dimensioni, di avere un corpo, una mente, un ruolo su questa terra. Mi sono riconosciuta per differenza, perché se Booth mi stava abbracciando, se io ero presente nelle sue braccia, allora era razionalmente impossibile che io non esistessi.
    Ha fatto tanto altro in quei giorni e, ora che lo conosco meglio, so che le sue attenzioni, la sua comprensione, avevano motivazioni assai più profonde. I genitori hanno una vita segreta. E non in tutte le famiglie ciò significa che il papà gioca a fantabasket una volta a settimana o che la mamma frequenta un corso di danza del ventre. (Già, conosco il fantabasket, merito di Parker).
    Chissà perché oggi mi sono venuti in mente quei giorni. Forse perché anche oggi ho una testimonianza in tribunale, anche oggi al Jeffersonian ci stiamo occupando del limbo, e anche oggi Booth è accanto a me. Come uno sciocco si mette sempre a qualche metro di distanza quando vengo qui a trovarti, mi ha detto che non vuole mettermi a disagio, che questo è un momento solo nostro, mio e tuo, mamma. Non capisce che qui con te, alla fine, finisco sempre col parlare di lui. Perché siamo ancora l’uno il prolungamento dell’altro. Gli voglio bene. Davvero. E, nonostante la mia ancora acerba capacità di capire le persone, sento, spero, che lui ne vuole a me. E ce la metterò tutta per non perderlo, per non lasciarmi sfuggire la sua presenza al mio fianco. Anche se non so in che modo, anche se non so se ne sarò capace.
    Bene, credo di essere stata particolarmente brava oggi…ti ho parlato, ti ho raccontato delle cose, ti ho comunicato un mio stato d’animo. Sei sempre dentro di me, mamma, geneticamente e affettivamente.
    “Andiamo, Booth”

    Edited by omelette73 - 3/8/2009, 09:06
     
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12 replies since 27/7/2009, 08:11   586 views
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